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Jon Hopkins: Music For Psychedelic Therapy
17 min

Intervista Con Jon Hopkins Su Music For Psychedelic Therapy

17 min

Questa conversazione con Jon Hopkins esplora l'ispirazione e le motivazioni che hanno condotto alla creazione di Music for Psychedelic Therapy, un nuovo album concepito per essere usato insieme agli psichedelici per indurre un'esperienza unica; un viaggio interiore.

In questa lunga intervista parliamo con Jon Hopkins sul suo album di recente pubblicazione: Music for Psychedelic Therapy. Innovativa nella sua visione, questa composizione musicale è concepita per accompagnare le persone durante l'esperienza psichedelica.

La registrazione completa di questa intervista è disponibile per l’ascolto su Spotify. Nota: l’audio di questa intervista è in inglese.

Usando suoni che provengono dalle giungle dell'Ecuador e dai boschi dell'Inghilterra, è differente da qualunque musica composta finora. Situandosi da qualche parte fra il paesaggio sonoro di genere ambient ed una poderosa sinfonia, è profondamente toccante, ma allo stesso tempo stranamente neutra. Questa dicotomia le conferisce una portata che le permette di essere una compagnia per la persona che si immerge nell'esperienza psichedelica, guidandola ma senza mettersi d'intralcio sul suo cammino.

Creando lo spazio perché ciascuno possa procedere nel suo viaggio unico e personale, Music for Psychedelic Therapy può essere descritto meglio come uno spazio in cui stare, piuttosto che una semplice composizione musicale da ascoltare.

Max: Cos'è che ha suscitato il tuo interesse per gli psichedelici? Si è trattato di un singolo evento o è una cosa che è crescita con il tempo?

Jon: La mia relazione con loro è piuttosto lunga e complessa. È cominciata da adolescente, quando stavo sperimentando con la cannabis, che anche se non viene definita uno psichedelico per me è uno dei più potenti che ci siano. E non sapevo cosa stavo facendo. Ne stavo consumando davvero troppa.

Ma credo che ciò che si è prodotto come risultato di quegli esperimenti fu che mi si aprì un mondo interiore che davvero non avevo idea che esistesse. E diciamo che spostò il velo e mi mostrò questo mondo interiore pieno di miracoli. Ed erano esperienze ricchissime di incanto, sempre in combinazione con la musica, come un'intensa scossa nel corpo, la visione di immagini incredibili ed ogni tipo di cose.

Ma dopo un paio d'anni, smise semplicemente di funzionare. Mi sarebbe piaciuto tornare a quel punto, ma ero incapace di raggiungerlo; e ha cominciato ad avere su di me un effetto davvero deleterio. Perciò ho smesso completamente e non ho più preso psichedelici fino ad otto anni più tardi. Avrò avuto sui 26 o 27 anni, e a quel tempo avevo imparato a meditare ed avevo appreso tecniche di respirazione, perciò mi sentivo più centrato in me stesso e un po' più in grado di navigare in quel mio mondo interiore.

Max: Credo che essere in grado di osservare in maniera in qualche modo spassionata ciò che accade nella nostra mente aiuti veramente ad ottenere il meglio da un'esperienza psichedelica, piuttosto che creare soltanto confusione.

Jon: Sì, esatto. È proprio così. Quando ho preso per la prima volta dei funghi allucinogeni, mi trovavo in un ambiente incredibilmente bello e sicuro, su una spiaggia in Scozia con un bel gruppo di amici di vecchia data. E come dire, non lo descriverei proprio come cerimoniale, fu piuttosto una situazione in cui ci ritrovammo a bere e a prendere un sacco di funghetti.

Ma era tutto così spettacolare e sereno, e ci siamo fatti un sacco di risate. E mi sono sentito come se avessi un pieno risveglio davanti alla maestosità della natura. Quando arrivò l'alba stavo semplicemente contemplando ogni cosa con meraviglia, come se vedessi tutto per la prima volta. Tutti abbiamo momenti del genere con i funghetti e mi ha davvero cambiato la vita.

E ricordo anche di aver pensato in quel momento, non è incredibile che tu possa prendere un funghetto dal terreno e che lui sia capace di offrirti un'esperienza che ti spinge a voler proteggere l'ecosfera che ha prodotto quello stesso funghetto? Quindi avevo quasi l'impressione che fosse parte di una tecnica di autoprotezione che la Terra ha dentro di sé, mi segui?

Jon Hopkins: Music For Psychedelic Therapy

Max: Certo, anzi direi anche che è una bella maniera di vederla. Ma quindi hai una tua visione specifica dell'esperienza psichedelica, di quello che costituisce?

Jon: Be', direi che ce ne sono tante. Voglio dire, sono tutte molto diverse, davvero, a seconda della sostanza. L'esperienza con la psilocibina per me è fra quelle che ti portano di più a guardare verso l'esterno, e ci sono poi quelle dove vai in profondità in un consapevole viaggio interiore, e possono essere molto più intense.

L'esperienza con la DMT si situa interamente al di fuori da tutto questo; è un piano della realtà differente, che non sembra aver nulla a che fare con i nostri piccoli interessi umani. E poi insomma, è davvero una cosa talmente differente che proprio non si relaziona con noi, mentre la psilocibina può certamente agire per noi come una sorta di guida, verso aree della nostra vita a cui magari abbiamo bisogno di rivolgere l'attenzione.

Max: Penso che “guida” sia una buona definizione. Ho sempre l'impressione che mi prenda per mano e sembri sapere cosa è meglio. Anche quando ti conduce in posti oscuri, lo fa con delicatezza.

Jon: D'altro canto, se prendi il dosaggio sbagliato (io cerco sempre di fare molta attenzione perché non voglio avere quell'esperienza), ho sentito dire che i funghetti possono diventare piuttosto insidiosi, e che si mettono a fare delle cose strane se si prendono dosi davvero pazzesche. Ma non è il genere di cose che faccio.

Max: Quindi, riguardo al tuo album Music for Psychedelic Therapy, era da un po' che ero curioso di provarlo, e l'ho fatto. Ho preso funghetti con un IMAO, ed è stato in realtà più simile ad un trip di DMT.

Jon: Oh wow, quanto ti è durato quindi?

Max: È durato probabilmente circa 8 ore, ma il picco è stato il massimo che ho mai provato e sono rimasto su quel picco per l'intera durata del trip.

Jon: Si direbbe una roba bella intensa.

Max: Oh sì, lo è stata. Stavo avendo visioni e roba del genere. Fu abbastanza strano, ma spettacolare. E il tuo album; il tuo album è stata una delle parti migliori.

Jon: Il problema con l'album è che in realtà dovrebbe essere lungo 8 ore. Ma il problema è che mi ci vorrebbero otto anni per terminarlo. Cioè, ne farò sicuramente altri volumi; ma è in effetti la lunghezza adatta per la ketamina, è quella che per così dire ci si accomoda meglio.

Max: L'hai concepito specificamente per questo?

Jon: Direi non in maniera intenzionale. La ketamina non viene definita uno psichedelico, ma per me, se prendi il termine psichedelico nel suo significato letterale, come una cosa che “rivela la mente”, allora per me è tanto psichedelica come tutto il resto.

Perciò, se penso da dove ha origine quest'album, direi che si tratta di un misto fra esperienze con la ketamina ed esperienze con la DMT. Penso che molti suoni abbiano una relazione molto più stretta con l'esperienza con la DMT, ma sono contenuti dentro l'esperienza offerta dalla ketamina, che è associata con una certa sicurezza e mancanza di paura, ed è anche più breve.

Secondo me, e molta gente è d'accordo con quest'idea, la musica, in modo particolare una musica composta con suoni immersivi come questa, assume con la ketamina una qualità fisica e diventa a quel punto il tuo intero universo, l'intero spazio in cui abiti. E perciò, per me, è stato come avere questo superpotere di creare un universo e poi abitarlo per un'ora; come se stessi costruendo una sorta di palazzo fatto di suoni in cui poterci passare un po' di tempo. Quindi è stato in effetti un po' come un sogno.

Max: Sì, assolutamente. Penso che l'idea di un palazzo fatto di suoni sia interessante, perché stavo cercando di meditarci attraverso mentre lo ascoltavo, e c'era questa specie di frattale, ma che non si spostava col tempo – una specie di mondo strutturale che si apriva davanti ai miei occhi e assumeva delle dimensioni che non ero in grado di comprendere. Era proprio come una specie di forma, ma non una forma rigida. Era molto presente però, e molto piacevole.

Jon: Be', quando mi stavo avvicinando alle fasi finali della conclusione dell'album, stavo consumando ketamina tipo una volta ogni tre settimane per testarlo, per vedere come stava funzionando. E sai, c'era questa consapevolezza intuitiva, quando finalmente tutto andava bene, quando non trovavo più nulla che dovesse essere modificato e sentivo che era a posto così. E cosa sia questo, non lo so. Sapevo soltanto che era concluso. E quindi c'era questa strana specie di intelligenza dietro il processo, e avevo la sensazione che non venisse da me, ma che fosse, come dire, una cosa molto intuitiva.

Max: Bello. E a proposito, quando lo stavi facendo, eri partito con l'idea che l'intera composizione avrebbe formato una specie di traiettoria per l'ascoltatore? Perché, nel mio caso, mi ha dato l'impressione che mi stesse portando in diversi posti, per poi concludersi. O è semplicemente venuto fuori così, in maniera organica?

Jon: Sì, cioè, il mio approccio alla composizione musicale è sempre organico. Quindi non pianifico mai nulla. Infatti, la parte dell'album “Tayos Caves” è stata scritta prima, ed era in realtà intesa come una composizione musicale autonoma. Ma quando mi è apparsa “Sit Around the Fire” , che è la traccia di chiusura dell'album, ho capito che avevo la traccia conclusiva di un album.

È allora che si è accesa l'idea che avrei fatto un album completo con questo tipo di musica. Quindi si tratta davvero di confidare in quella stessa intuizione in cui ho confidato per tutti gli altri album, dove tu semplicemente continui a lavorarci su e tutto si mette al suo posto da solo, e tu devi soltanto fidarti che succederà, perché il subconscio ha preso il comando.

Max: Riguardo ai progetti creativi penso che abbandonarsi ad essi, e lasciare che prendano la guida, sia di gran lunga la pratica migliore.

Jon: Sì, penso anch'io. Come si dice, è un procedimento che consiste nel togliersi di mezzo per non intralciare.

Max: E con la traccia finale, data la traiettoria dell'intera esperienza, ho trovato che le parole alla fine fossero molto divertenti, per il modo in cui le hai messe insieme. Al principio è come una specie di trip egotistico, e poi alla fine c'è una specie di dissoluzione dell'ego. E poi le parole arrivano quasi a confermarlo, in un modo molto bello. L'ho trovata una cosa divertente, che rendeva tutto più amichevole, collettivo, come dire... ad un tratto mi ha dato la sensazione che fosse un'esperienza che avevo condiviso, invece che averla vissuta da solo.

Jon: Davvero molto bello. E la figata riguardo al discorso di Ram Dass è che anche se ne sei consapevole e lo stai ascoltando, oppure no, non sta parlando al microfono, sta parlando ad una folla di gente. Perciò in un certo senso ciò che stai ascoltando è un'esperienza collettiva. E puoi sentirlo nella sua voce che è totalmente connesso. Cioè, si trova nel momento presente e sta davvero trasmettendo quella sensazione alla gente. Avere l'opportunità di inserirlo nell'album è stato davvero straordinario. Per me è ancora un mistero che sia andata in questo modo.

Max: Da quanto sapevi che esiste quella registrazione? O l'hai scoperta solo facendo le ricerche per l'album?

Jon: No, mi è venuta da un musicista chiamato East Forest, con cui sono in contatto da un certo tempo. E lui ha lavorato con Ram Dass prima che morisse, ed ha registrato alcuni dei suoi discorsi pubblici. Poi, dopo la sua morte, la Ram Dass Foundation gli chiese di trasporre su musica alcuni altri discorsi che erano stati ritrovati su cassetta. Quindi mi ha contattato e mi ha mandato questo discorso ed anche queste fantastiche voci di sottofondo che si sentono nella traccia. E poi su quello ho composto il resto. Quindi è semplicemente successo. Ed è capitato in certo modo con un vero sincronismo, perché è apparso nella mia vita quando avevo appena finito la composizione “Tayos”, e stavo già capendo quanto sia gratificante e rigenerante fare questo tipo di musica; fare davvero il tipo di musica che sento di dover fare.

Max: Okay. Perché da poco ho fatto un trip in cui ho capito che esiste una specie di strano conflitto fra il fatto che le vite di tutti si assomigliano abbastanza, ma anche che tutti conducono un'esistenza piuttosto solitaria. E successivamente ho scoperto che avevi detto o scritto qualcosa di simile al riguardo.

Jon: Ho avuto anch'io quell'esperienza, ed è interessante. Ero a Glastonbury un paio di settimane fa con un gruppo di amici strettissimi e mio fratello, ed è stato così divertente, sai com'è, la sensazione che danno gli angolini magici a Glastonbury. In genere non vado nelle aree più grandi, ma gli angolini speciali sono quelli che rendono Glastonbury unica, e ricordo soltanto di aver sentito, in maniera vivissima, questa beatifica sensazione di stare insieme – e poi ho avuto la chiarissima percezione di come in realtà per tutti noi la maggior parte del tempo non sia così, e mi sono sentito molto triste.

Ma allo stesso tempo è davvero importante attingere da quei momenti di beatitudine collettiva, per ricordare che sono possibili e che anzi, ti dirò, dovrebbero essere la base di tutto. In una comunità, in una comunità sana, è così che ci si potrebbe sentire gran parte del tempo. Ma ci siamo in qualche modo rintanati in un angolo di isolamento, e spesso ce ne dimentichiamo. E questo è qualcosa che gli psichedelici sono evidentemente in grado di fare, cioè farci improvvisamente ricordare tutto questo, riportarci di nuovo alla memoria ciò che è sempre stato lì.

Max: Sì, penso che ci sia molta connessione con la natura, nel senso che quando sono sotto gli effetti di uno psichedelico percepisco un senso di unità e di semplicità dell'essere che trovo anche da sobrio quando mi trovo nella natura, ma ho difficoltà a trovarlo in qualunque altra situazione al mondo. È la stessa cosa con l'arte in effetti; penso che l'arte abbia un modo simile di riunire insieme le persone sotto un unico tetto, non trovi?

Jon: Già. Cioè, personalmente sento che questa sia la sua finalità. Sicuramente dà l'impressione di essere la finalità di... Voglio dire, la ragione per cui faccio queste cose è... Non ricordo da dove viene questa citazione: “tu fai ciò che vuoi vedere nel mondo” o “tu fai ciò che vuoi udire nel mondo”. Quindi, questa musica che stavo facendo, quest'album, non esisteva. Ma era necessario che esistesse, in primo luogo per me stesso. E se funziona per me, spero che poi funzioni anche per gli altri.

Ed è stata anche una cosa straordinaria pubblicarlo, perché ovviamente è un tipo di album decisamente non commerciale, che non può essere passato in radio e deve trovare la sua strada in modo organico. Ma lo ha fatto in modo interessante, a combustione lenta per così dire. E quando mi trovo in vari eventi, che siano basati sull'album o siano le mie normali esibizioni, che sono ovviamente molto più danzerecce e così via, scopro che suscita reazioni grandiose, più di quello che potessi sperare sinceramente, da parte di persone che l'hanno trovato veramente d'aiuto, particolarmente in rapporto a cose come il dolore per un lutto, come capirlo e come dargli una certa prospettiva. Sembra che questa sia una cosa che arriva alla gente, ma non so come lo fa.

Anche il mio stesso dolore ne fa in qualche modo parte, perché tutto ciò che si scrive include le proprie esperienze. E anche se non ho mai fatto l'esperienza di perdere una persona amata a causa della morte, ovviamente nella mia vita ho fatto l'esperienza di perdere persone, e persone amate. Quindi ci sono dentro delle correnti, delle correnti sotterranee di sofferenza sentimentale e la musica è capace, in un certo modo, di dare un senso anche a queste cose. Può creare cose, rendere più poetiche situazioni che, in altri casi, sarebbero molto difficili da superare.

Jon Hopkins: Music For Psychedelic Therapy

Max: Sì, ne sono certo. Penso che in realtà sia semplicemente pura espressione, non trovi?

Jon: Già. E specialmente la musica senza parole. Sai, è interessante perché con questo disco sto cercando di essere fondamentalmente il più onesto possibile riguardo al mio mondo interiore e alle mie esperienze personali. Ma dato che è astratto, nessuno potrà comprenderlo del tutto e la gente avrà la possibilità di interpretarlo in qualunque modo voglia, sentendo cose differenti. Ma io lo so, lo so che è una trasposizione diretta del mio essere più profondo ed è un privilegio fantastico poterlo fare, giusto?

Max: Sì. Immagino che se elimini il linguaggio e le parole allora forse elimini un pochino anche l'ego, non pensi? Perché all'improvviso non c'è più bisogno di spiegarsi in termini concreti...

Jon: Sì. Questo è un album in un certo senso privo di ego, perché ovviamente, come dicevo, non ha le potenzialità per ottenere un successo commerciale. Non stavo pensando a questo genere di cose. Non che normalmente quella sia una mia fissazione, perché allora non avrei passato 20 anni facendo musica strumentale come questa, di cui una parte è abbastanza strana. Ma sai, forse una parte di me ha sempre pensato inconsciamente che deve funzionare di fronte ad un pubblico o cose così. E semplicemente non ho pensato a niente di tutto questo. È stata un'esperienza davvero pura. Quindi sì, è stato realmente un cambiamento bello e rinfrescante.

Max: È qualcosa a cui sei in grado di tornare da solo, o non riesci a farlo senza prendere degli psichedelici e traendone qualcosa?

Jon: Decisamente. Cioè, per me il trucco consiste nel non ascoltarlo per lunghi periodi, in modo che conservi quella speciale qualità. Con altri miei album, la vera beatitudine sta nella fase creativa, perché dal momento che è concluso e pubblicato, ne ho fatto un'esibizione live e allora devo cominciare a suonarlo continuamente, e così le tracce perdono la loro magia, almeno per un po', fino a che cominci a tirarne fuori delle nuove variazioni interessanti.

Ma dato che quest'album non può essere suonato dal vivo, come dire, le cose stanno così. Facciamo questi eventi cerimoniali immersivi riproducendo musica di sottofondo, ma allora si tratta semplicemente di ascoltare l'album su un multicanale, distendersi ed assorbirlo; non è un'esibizione. Quindi in sostanza non sono stato obbligato ad ascoltarlo; non ho nemmeno dovuto guardarlo, il che vuol dire che potrei non ascoltarlo per sei mesi e poi scoprire che posso farci un trip fantastico. Ed è veramente una cosa meravigliosa, perché in fondo era questo il proposito.

Max: Dev'essere davvero una bella esperienza, perché in questo modo il tuo Io del passato sta conducendo il tuo Io del presente all'interno di un viaggio.

Jon: È vero. Proprio così. È una bella maniera di dirlo.

Max: Ho letto che qualcuno ha riprodotto una serie di tue registrazioni in un ambiente naturale, poi ci ha di nuovo registrato sopra e te le ha rimandate. E penso che quel suono così naturale sia abbastanza tangibile in tutto l'album, che a me in particolare ha dato la sensazione... Penso che aggiunga qualcosa al senso di spazio, perché in certi punti si può sentire una specie di apertura.

Jon: Sì. Eravamo io e il mio amico Dan, che registra sotto il nome di 7Rays. È qualcuno con cui ho condiviso molte esperienze di DMT. Ed anche se non ero particolarmente cosciente mentre lo stavamo facendo, penso che il mio obiettivo era provare a mettere nell'album quella sensazione che si prova quando esci per qualche istante da una stanza in cui stai vivendo un viaggio psichedelico ed è piena notte. Sai, quando devi uscire per qualche motivo e la luna è alta nel cielo, e c'è silenzio, in questo caso, nei boschi del Devon. E magari senti un gufo o semplicemente stai andando a pisciare, o qualunque cosa. Ma c'è questa strana sensazione... Per qualche secondo ti trovi in un mondo completamente diverso.

E quando torni nella stanza, la musica sta ancora suonando e il trip si è quasi fermato per una pausa, e poi riprende. Quindi si notano dei momenti così nell'album, specialmente nella seconda metà. C'è quest'idea di uscire da una stanza e rientrarci, e quando ci ritorni, ti rimmergi completamente. Ed è certamente una cosa che ricordo aver sentito descritta da qualcuno. Quella sensazione che la stanza inizia ad assumere un'energia, sai, “la stanza acida”, ne avevo sentito parlare. Le persone possono entrarci dentro e sentire quest'energia tangibile, frutto di tutte quelle esperienze.

Max: Sì, senz'altro. È curioso che abbia parlato anche del gufo, perché c'è un momento nell'album che si sente il verso di un gufo. E ricordo che era un'apertura bellissima, tipo un senso di pace, e semplicemente calma e serenità, che immagino sia esattamente ciò che hai descritto.

Jon: Esattamente. Quindi tutte queste cose, tutti questi momenti, tutti gli uccelli che puoi sentire, erano cose che si trovavano lì. Ecco il punto, non ci sono cose messe lì apposta, niente banche di suoni, niente cose del tipo, ah ecco, adesso qui ci sta bene un gufo. Dan era fuori a fumare la sua pipa sotto la luna ed ha fatto un sacco di registrazioni sul campo, sono le sue, quelle che non vengono dall'Ecuador. E il gufo si è trovato ad essere lì. Quindi era tipo, okay, evidentemente nel disco ci deve essere anche il gufo. E semplicemente permettere a me stesso di confidare nel fatto che queste cose volevano essere coinvolte.

Max: È davvero bello che ci sia questa fusione fra le foreste ecuadoriane e il Devon.

Jon: Sì. Voglio dire, questa è in realtà nient'altro che un'altra trasposizione in musica della mia esperienza di vita. Cioè, l'album è stato concepito in Ecuador, è vero, ma la realtà di gran parte delle mie esperienze psichedeliche è stata quella dei boschi inglesi, e mi sto interessando sempre più a quello perché un tempo avevamo qui la nostra saggezza indigena. E ovviamente è stata in gran parte cancellata.

Ma ci sono ancora persone che conoscono quelle cose, e puoi decisamente percepirlo quando vai in posti come Devon e Cornovaglia, e anche nelle Highlands scozzesi. E in Galles ed Irlanda questa magia si sente ancora di più, credo. E me ne sto interessando sempre di più in questo periodo.

Esiste questa sorta di fissazione su ayahuasca e huachuma (San Pedro). Queste tradizioni sono state ben preservate e tutti sanno cosa sono. Ma noi qui avevamo le nostre e volevamo conoscere anche quelle. E avevamo anche i nostri riti sciamanici, la nostra musica sciamanica e tutto il resto. Quindi questo è in realtà ciò che mi corrisponde, inserire molti paesaggi sonori di questo tipo, di cui ho esperienza e con i quali sono cresciuto.

fusione fra le foreste ecuadoriane e il Devon

Max: La mia teoria è che il genere alternativo di cultura delle droghe che c'è a Bristol sia una diretta discendenza dalle religioni pagane e druidiche delle regioni occidentali, che facevano uso di funghetti migliaia di anni fa.

Jon: Sono dispostissimo a crederci. Voglio dire, la magia è là. E non penso assolutamente che sia scomparsa del tutto. Penso anche che comincerò ad interessarmi alle nostre mitologie e alla nostra storia antica. È che una parte enorme di essa è stata oscurata. E lo sai, c'è stato uno sforzo cosciente per sradicarla, da parte di, be', in realtà da una successione di molti gruppi diversi di gente, ma ovviamente il cristianesimo ne costituisce una gran parte.

Max: Già. E perfino adesso, credo, il druidianesimo, si chiama così?

Jon: Druidismo.

Max: Il druidismo...

Jon: Credo.

Max: ...viene trattato come una cosa da ridere, mentre altri tipi di sciamanesimo originari di altre culture sono riveriti come cose mistiche e meravigliose. Ma appena provi a tirar fuori la storia del Regno Unito, viene vista come una fesseria da hippie. E invece anche quella ha probabilmente delle cose preziose.

Jon: Per me hanno lo stesso valore. È che in genere tutti questi tipi di culture indigene, qui come lì, non mettevano niente per iscritto, tutto era tradizione orale. Ciò vuol dire che una volta perse, sono perse per sempre. Una cosa difficile da immaginare oggi.

Sai, ci sono così tante incertezze su, per esempio, le origini di Stonehenge. Non ci sono prove che avesse effettivamente a che fare con i druidi, ma molti druidi ci vanno. Voglio dire, non sappiamo davvero se sia la verità, ma è un mistero. Anche i misteri sono affascinanti. E penso che ciò che amo nel fare musica su questo genere di cose sia il fatto che non stai facendo nessuna affermazione. Stai giusto esprimendo una sensazione e la sensazione che ti produce un luogo. E un po' della magia del luogo si insinua nella musica che stai facendo.

Jon Hopkins Stonehenge

Max: Tu mediti, immagino?

Jon: Sì. È stato un lungo processo per me. Da 22 anni, penso, più meno. E molti generi differenti, fra cui quello che ho trovato più potente è la meditazione trascendentale (MT). L'ho imparata circa otto anni fa. E per me è stata la svolta più grande. Ma anche la meditazione Kundalini e molti altri tipi di tecniche di respirazione e yoga, sono stati tutti molto importanti.

Max: E pratichi queste cose sotto effetto di psichedelici?

Jon: La respirazione decisamente sì. Non ho mai avuto veramente bisogno di fare MT sotto psichedelici, credo. È già abbastanza intrippante così. Voglio dire, non so tu, ma io con i funghetti sento sempre una grande necessità di stirarmi e muovere il mio corpo come se stessi facendo yoga. Ti mette veramente in contatto con i punti dove si accumula la tua tensione.

Max: È vero, il movimento fisico sotto funghetti è una sensazione incredibile. E hai uno psichedelico preferito o una droga in generale?

Jon: Mmm, sinceramente la birra. Ma a parte questo, credo di procedere per fasi. Alla DMT devo riconoscere di essere la più potente, quella che ha avuto più influenza. Ma potrei anche non usarla mai più. Sento di non aver bisogno di fare di nuovo un'esperienza tanto estrema. Mi ha dato la sensazione di essere una di quelle cose che a scuola si dovevano fare per imparare certe lezioni. Lezioni che erano necessarie per fare quest'album, ma ora che l'ho fatto non sono sicuro di aver bisogno di ripetere.

Quindi direi che in realtà se devo sceglierne una sarebbe la ketamina. Devo stare attento a non prenderla troppo spesso, perché sono consapevole che crea un po' più dipendenza rispetto ad altri psichedelici. Ma c'è qualcosa di speciale nella durata degli effetti e nel fatto che puoi essere completamente sobrio dopo un'ora e mezzo, eppure allo stesso tempo ti rende capace di accedere e quasi rimettere in ordine parti molto profonde di te stesso, di riportarle ad una condizione più sana. E questo mi pare molto profondo e molto moderno; una medicina molto necessaria nel mondo moderno.

Max: Affascinante. Devo riscoprirla. Anni fa ho vissuto una brutta esperienza con la ketamina e da allora mi fa un po' paura.

Jon: Be', se ti può aiutare, anche a me è successo. Questo è il problema con praticamente qualunque cosa si trovi sul mercato nero, che non c'è educazione e non c'è una corretta regolamentazione sulle cose. Così ne ho preso una vagonata una volta che ero ubriachissimo, quando avevo 28 anni, senza avere idea che l'interazione fra le due cose fosse pericolosissima. Sono stato veramente male, è stata una delle peggiori esperienze della mia vita. È stato come andare per un'ora sulle montagne russe a testa in giù e all'indietro, mentre mi sentivo malissimo. Un inferno senza fine.

Quindi non ne ho più presa per molti anni, fino a quando non l'ho reintrodotta, sai, quando si son cominciate a conoscere le sue proprietà medicinali. E allora ho cominciato a capire che l'espressione “k-hole” in un certo senso è quasi offensiva, per uno spazio così sacro. L'idea di fare una cosa del genere in una discoteca non mi attira per niente. Non è sicuro. Ma ti direi, medita e creati uno spazio intenzionale in casa e prendine una quantità ragionevole per vedere com'è la tua tolleranza. E poi la musica giusta e la stanza giusta, e magari la persona giusta per starti vicino. Se pensi di riprovarla, questo è il miglior modo di farlo.

Max: Tu usi dei trip-sitter? Perché l'ho sempre trovata un'idea strana, nel senso che a meno che tu sia con qualcuno che capisce queste esperienze con un'incredibile empatia, quando sono sotto questo tipo di droghe le persone sobrie mi turbano moltissimo.

Jon: Ah, certo. No, deve essere qualcuno che conosci, penso qualcuno che conosci molto bene, e che o ha preso anche lui una piccola dose o allora è una persona intrinsecamente psichedelica. Farlo con una persona a caso sarebbe... come dire... la sua presenza sarebbe poco utile. Ma direi che con la ketamina si tende ad andare in solitaria, mentre con la DMT lo facevamo sempre, perché è un trip di appena 15 minuti, ed io e Dan facevamo semplicemente i trip-sitter a turno. E così è più facile, no?

Max: Una volta ho preso DMT con un amico. È stata l'esperienza più strana della mia vita. Nessuno di noi due ha parlato durante l'effetto, e dopo gli ho detto: “non sapevo chi ero mentre stava succedendo”. E lui mi ha risposto: “sì, neanch'io”. In alcun momento, abbiamo fuso le nostre coscienze ed ho avuto l'impressione, nello stesso modo in cui una tonalità musicale genera una certa sensazione, di sentire cosa si provava ad essere lui. Stranissimo.

Jon: Non mi sorprende affatto, in un certo senso, è davvero tutto così magico. E di fatto, questo succede anche con la ketamina. Puoi comunicare psichicamente. Ne sono convinto. È assolutamente possibile. Se sei in una stanza con qualcuno mentre lo state facendo, e lo state facendo nel modo giusto, volando insieme, state comunicando attraverso le energie piuttosto che le parole. E suona un po' come un pensiero magico, ma l'ho sperimentato talmente tante volte e non ha davvero importanza che sia vero o no, perché in questo consiste l'esperienza, mi segui?

Max: Certo, penso che la mente, anche se comunque attraverso il corpo, in qualche maniera sottile che non comprendiamo, certamente ha altre capacità di comunicare oltre al linguaggio.

Jon: Sì, naturalmente.

Max: Ci sono altre composizioni musicali che raccomanderesti per la terapia psichedelica, a parte la tua?

Jon: Direi di no, non ci sono molte composizioni di formato esteso. Ecco perché ho voluto fare un disco di lunga durata. Ma ci sono tantissime composizioni brevi. Una delle mie preferite è Vaporware 01 di Donato Dozzy, e poi Evening Side di Four Tet. Ci sono anche alcune tracce dell'album di Kelly Lee Owens. Non ricordo i titoli, ma ce n'è una bellissima che prende il titolo dalla parola gallese per respiro (Anadlu, LP.8), che intona ripetutamente. E consiglierei di ascoltare anche gli altri brani ambient di quell'album.

Max: Fantastico. Grazie. E per finire, questa domanda la faccio solo per me, perché me lo sono chiesto per anni. In Immunity, un brano che mi è molto, molto caro, cos'è l'origine del campionamento che hai usato per quella specie di, non è proprio una percussione, ma segna il ritmo durante tutta la traccia?

Jon: Oh, è il pedale del piano. In realtà è il pedale della sordina del mio piano che cigola ed anche il pedale di risonanza. Quindi in sostanza ho usato quelli come percussione.

Max: Fantastico. Okay. Erano anni che cercavo di capire cos'era. Ora lo so. Stupendo.

Jon: Già.

Max: Grazie. Moltissime grazie.

Jon: Sì, è stata una bella chiacchierata. Buon fine settimana.

Max: Stupendo. Grazie davvero.


Se siete interessati ad ascoltare Music for Psychedelic Therapy, ve lo consigliamo vivamente. Oltre che un'incredibile composizione sonora in sé e per sé, è difficile sopravvalutare quanto sia profondamente e perfettamente adatta all'esperienza psichedelica – come suggerisce il titolo! Perciò, se vi serve l'accompagnamento psichedelico per quest'album, dirigetevi al Funghishop di Zamnesia per trovare la compagnia giusta.

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Per acquistare Music for Psychedelic Therapy, dirigetevi a Domino Records.

Ascoltate Dream Machine per un'esperienza immersiva unica con la musica di Jon Hopkins.

Per ascoltare gli altri artisti menzionati nell'intervista, visitate:

Max Sargent
Max Sargent
Max scrive da oltre un decennio e negli ultimi anni si è dedicato al giornalismo sulla cannabis e la psichedelia. Scrivendo per aziende come Zamnesia, Royal Queen Seeds, Cannaconnection, Gorilla Seeds, MushMagic ed altre, ha acquisito ampia esperienza in questo settore.
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