Indica e sativa sono due sottospecie di cannabis che coltivatori e consumatori hanno sempre definito come due varietà completamente diverse. Tuttavia, una nuova ricerca suggerisce che l'antiquata distinzione tra Cannabis indica e Cannabis sativa potrebbe non essere più necessaria. Continua a leggere per saperne di più sulla cannabis indica e sativa.
La Cannabis sativa fu descritta per la prima volta nel 1753 dal botanico svedese Carl Nilsson Linnaeus (anche conosciuto come Carlo Linneo). I biologi moderni sostengono che Linneo arrivò probabilmente a questa definizione studiando le piante di cannabis coltivate in Europa ai suoi tempi, principalmente per la produzione di fibre, semi ad uso alimentare ed olio di canapa (Clark & Merlin, 2016). Molto probabilmente, queste piante appartenevano allo stesso gruppo di colture che oggi chiamiamo “canapa industriale”, con gambi lunghi e fibrosi, foglie a dita sottili di color verde brillante e cime poco compatte contenenti bassi livelli di THC.
Il termine Cannabis indica, invece, fu coniato dal biologo francese Jean-Baptiste Lamarck nel 1785 per indicare le cultivar di cannabis originarie dell'India. Queste piante mostravano caratteristiche diverse da quelle descritte da Carlo Linneo 30 anni prima. Erano più piccole, con foglie a dita più larghe di colore verde scuro e con infiorescenze più resinose e ricche di THC, spesso consumate come parte di cerimonie spirituali in India e regioni limitrofe. Date le nette differenze tra Cannabis sativa e Cannabis indica, Lamarck ebbe l'iniziativa di classificare queste piante come due specie diverse (Clarke & Merlin, 2016).
Andiamo avanti di oltre 200 anni e i termini indica e sativa continuano ad essere usati nei dibattiti sulla cannabis. Molti coltivatori e consumatori di cannabis continuano a fare questa distinzione per differenziare le piante di cannabis in base alla loro morfologia e, cosa forse più interessante, agli effetti che producono.
Il termine “varietà” si riferisce in realtà ad una cultivar specifica (ovvero una pianta ibridata in modo selettivo) con caratteristiche di crescita, effetti o aromi unici. A differenza di altre colture ampiamente ibridate e stabilizzate, la cannabis possiede ancora un ricco patrimonio genetico che può produrre molte cultivar diverse.
Quando acquisti delle varietà di cannabis, normalmente le trovi classificate come sativa, indica o ibrido. Questa distinzione ampiamente usata da breeder e seedbank serve a differenziare le caratteristiche fisiche, la genetica e i presunti effetti di una pianta.
Le varietà sativa sono generalmente etichettate come piante più alte con foglie a dita più sottili di un verde brillante, maggiore distanza internodale (o tra i rami) e tempi di fioritura più lunghi (il che significa che i loro fiori impiegano più tempo per maturare).
Le varietà indica sono in genere piante più piccole con foglie a dita più tozze di colore verde scuro, internodi più ravvicinati e tempi di fioritura più brevi.
Gli ibridi contengono diverse proporzioni di geni sia indica che sativa e, quindi, possono mostrare una combinazione di tratti sia indica che sativa. I menù dei coffeeshop o dei dispensari, ad esempio, sono soliti specificare la percentuale di genetica indica/sativa dei loro ibridi.
Tra i coltivatori e i consumatori di cannabis continua ad esserci l'obsoleta convinzione che le varietà indica e sativa producano effetti completamente diversi. In termini molto generali, le persone tendono a credere che:
La Cannabis sativa è energizzante. Produce una sensazione cerebrale stimolante, edificante e creativa (nota come “high”).
La Cannabis indica è rilassante. Produce sonnolenza ed effetti fisicamente rilassanti, talvolta quasi narcotici (noti come “stoned”).
Molti coltivatori di cannabis, consumatori e persino alcuni professionisti del settore sostengono ancora questa visione tradizionale. Tuttavia, la letteratura scientifica non si è ancora pronunciata sulla vera causa dietro i diversi effetti della cannabis.
Secondo le classificazioni di sativa ed indica fatte per la prima volta da Linneo e Lamarck, i diversi effetti delle piante sativa e indica potrebbero dipendere dalle loro potenziali differenze nella concentrazione di cannabinoidi. Dopotutto, le piante indica descritte da Lamarck contenevano probabilmente più THC delle piante fibrose di canapa descritte da Linneo. Tuttavia, questa idea non sembra più reggere ai giorni nostri, poiché sul mercato esistono sia varietà indica che sativa ad alto contenuto di THC e gli studi dimostrano che non ci sono differenze sostanziali nel loro contenuto di cannabinoidi (Watts et al., 2021).
Ricerche più recenti suggeriscono che la concentrazione di terpeni potrebbe influenzare gli effetti psicoattivi delle varietà di cannabis. Ad esempio, Arno Hazekamp e i suoi collaboratori (2016) analizzarono le variazioni chimiche di 68 varietà sativa e 63 indica (considerate indica o sativa dai loro fornitori). Utilizzando la gascromatografia con rilevatore a ionizzazione di fiamma, il dott. Hazekamp e colleghi riuscirono ad analizzare il contenuto di cannabinoidi e terpeni dei diversi campioni di prova e scoprirono che le sativa e le indica potevano essere differenziate in base al loro contenuto di terpeni.
Più in particolare, dalla ricerca emerse che:
Le piante sativa tendono a contenere concentrazioni più elevate di trans-bergamotene, trans-beta-farnesene, delta-3-carene e terpinolene.
Le piante indica tendono a contenere concentrazioni più elevate di beta- e gamma-eudesmolo, guaiolo, mircene e gamma-elemene. Inoltre, i terpeni idrossilati (terpeni con un gruppo -OH alcolico legato alla molecola) come beta/gamma eudesmolo, guaiolo, alfa-terpineolo e borneolo erano presenti quasi esclusivamente nei campioni indica.
Sebbene questa ricerca offra alcune informazioni su una delle potenziali cause dei vari effetti della cannabis, i risultati indicano qualcosa di molto più importante, vale a dire: trovare un metodo più preciso per classificare la cannabis basato sulla costituzione chimica della pianta (e non sulla sua presunta origine genetica o geografica).
Per ulteriori informazioni, consulta anche gli scritti di Arno Hazekamp:
"That which we call Indica, by any other name would smell as sweet. An essay on the history of the term Indica and the taxonomical conflict between the monotypic and polytypic views of Cannabis."
Nel tentativo di allontanarsi dal tradizionale dibattito sativa-indica, alcune persone nell'industria della cannabis stanno sostenendo un modello di classificazione di “chemiotipi” (o chemovar) che si basa sul loro contenuto di THC e CBD. Questo modello è stato proposto per la prima volta dai ricercatori negli anni ’70 per scopi legali/forensi (Small & Beckstead, 1973) e delinea tre tipi distinti di cannabis:
C'è da notare che questo modello non tiene conto delle diverse percentuali di terpeni, che probabilmente svolgono un ruolo molto importante nel modo in cui la cannabis ci influenza (Ferber et al., 2020).
I termini sativa ed indica risalgono al XVIII secolo e furono creati per classificare la cannabis in base a notevoli differenze morfologiche. Oltre 200 anni dopo, questi termini vengono ancora usati per descrivere gli effetti delle diverse varietà di cannabis, senza alcun fondamento scientifico (o quasi).
La nostra conoscenza della cannabis sta crescendo in modo esponenziale, così come la nostra capacità di testare la composizione chimica di questa pianta nei laboratori moderni. Nel frattempo, anche la cannabis sta diventando sempre più accessibile a seguito dei cambiamenti politici. In queste circostanze, potrebbe essere giunto il momento di abbandonare la secolare nomenclatura indica/sativa a favore di approcci supportati dalla scienza e basati su componenti chimici.
Ci teniamo a citare questa parte di intervista realizzata nel 2016 all'acclamato ricercatore di cannabis dott. Ethan Russo:
“Attualmente, non possiamo definire il contenuto biochimico di una determinata pianta di cannabis basandoci sulla sua altezza, sulle ramificazioni o sulla morfologia delle sue foglie. Il grado di ibridazione/incroci genetici è tale che solo un test biochimico potrebbe indicare ad un potenziale consumatore o scienziato il vero contenuto della pianta” (Piomelli & Russo, 2016).
Per fortuna, non abbiamo bisogno di termini come indica e sativa per selezionare la cultivar ideale per le nostre esigenze. Grazie ai progressi nell'ibridazione e nella scienza della cannabis, le aziende produttrici di semi e i rivenditori possono definire con maggiore precisione i potenziali effetti e le caratteristiche di crescita di una specifica cultivar, invece di raggrupparla in una categoria più ampia basata sulla sua presunta natura indica o sativa. Da Zamnesia abbiamo un'ampia selezione di pregiate varietà, tutte con qualità uniche specificate nelle loro schede tecniche.
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